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[St. 27-30] libro ii. canto xxiv 407

27 Perchè venendo lo vidde passare,
     Ed era seco a lato Balduvino,
     Qual forse questo gli debbe contare,
     Però che anch’esso a Carlo era vicino.
     Quando Ranaldo odìa ciò racontare,
     Forte piangendo disse: - Ahimè tapino!
     Che se egli è ver ciò che costui favella,
     Perduta ho in tutto Angelica la bella.

28 Se di me prima là vi gionge Orlando,
     Io so che Carlo aiutarà di certo,
     Ed io serò, come fui sempre, in bando,
     Disgrazïato, misero e diserto.
     Almen potevi tu venir trottando!
     Venuto sei di passo, io il vedo aperto,
     Nè me il faria discreder tutto il celo,
     Chè il tuo destrier non ha sudato un pelo. -

29 - A tutta briglia venni speronando, -
     Rispose Ugetto - e tu pur fai dimora;
     Or che sai tu se qualche impaccio Orlando
     Ha retenuto, e non sia gionto ancora?
     Tu provar debbi la ventura, e quando
     Venga fallita, lamentarti alora;
     Sì presto è il tuo destrier, che a questo ponto
     Prima de ogni altro ti vedo esser gionto. -

30 Parve a Ranaldo che il dicesse il vero,
     Però ben presto se pose a camino.
     Spronando a tutta briglia il suo destriero,
     A gran fraccasso va quel paladino;
     Qualunque trova sopra del sentiero,
     O voglia esser cristiano o saracino,
     Con lo urto getta a terra e con la spada,
     Nè vi ha riguardo, pur che avanti vada.

4. MI. anco. — U. MI. E di me prima te vi. — II. MI. e P. omm. io. — 15. MI. me /aria. — 16. MI. e P. mi» pelo. — 19. Mr. seta. — 26. P. ben lotto.

— 81. T., MI. e Mr. omm. e.