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[St. 3-6] libro ii. canto xxiv 401

3 Non debbo adunque a gente sì cortese
     Donar diletto a tutta mia possanza?
     Io debbo e voglio, e non faccio contese,
     E torno ove io lasciai ne l’altra stanza
     Di Feraguto, che il monte discese,
     E Rodamonte con tanta arroganza
     Che de i lor guardi e de la orribil faccia
     Par che il cel tremi e il mondo se disfaccia.

4 Venian davanti a gli altri e duo baroni
     Più de una arcata per quella pianura.
     Sì come fuor del bosco duo leoni
     Che abbian scorto lo armento e la pastura,
     Così venian spronando e lor ronzoni
     Sopra la gente che de ciò non cura;
     Io dico e Cristïani e Carlo Mano,
     Che ben veduti gli han callare al piano.

5 Lo imperator gli vidde alla costiera,
     Dico e Pagani e il re Marsilïone,
     A benchè allora non sapea chi egli era;
     Pur fece presto a ciò provisïone.
     Subitamente fece una gran schiera
     De cavallieri arditi e gente bone;
     Ove gli trova, senza altro riguardo
     Tutti gli aduna intorno al suo stendardo.

6 Poi mosse Carlo questa compagnia,
     Sopra a un destriero a terra copertato;
     Per quel furor la terra sbigotia,
     Tamburi e trombe suonan da ogni lato.
     Marsilio d’altra parte anco vien via,
     Ma son davanti, come io ve ho contato,
     Il franco Feraguto e Rodamonte;
     E duo de’ nostri a lor scontrarno a fronte,

5. P. dal monte gcfte. — 7. P. Che de. — 10. P. arcata e. — 12. T. , MI. e Mr. rtn»»e»i e. — 19. Mr. e P. che; MI. qual era.

UoiARUu. Orlando Innamorato. Voi. II. 88