[St. 35-38] |
libro ii. canto xxiii |
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Ma non lo aspetta lui, che è impaurito;
Mostrògli Sinagon ciò che ’l die’ fare,
Et ebbe senno a pigliar bon partito.
Ecco Grandonio, che un serpente pare:
E gionse Avino, il giovanetto ardito,
E sottosopra il fece trabuccare;
Poi Belengero abatte in sul sabbione
E sieco Avorio e il suo fratello Ottone.
Gionse anche Serpentino a un’altra banda
E scontrò il bon Ricardo paladino:
For dello arcione alla campagna il manda;
Nè qui se arresta e scontrase a Turpino,1
E, benchè ’l prete a Dio se ricomanda,
Pur fu abattuto da quel saracino.
Rimescolata è tutta quella traccia,2
Qua fugge questo, e là quell’altro caccia.
Vidde Olivier Grandonio di Volterna,
Che abatte sopra al campo gente tanta
Che altri che lui non par che se discerna,
E tutto è sangue dal capo alla pianta.
Dicea Oliviero: O Maiestate Eterna,
Io pur diffendo la tua Fede santa,
Come far deggio, e il tuo culto divino;
Dammi possanza contra al Saracino!
Egli avea già racolta un’altra lanza
Così dicendo, e con animo ardito
Spronava il suo destrier con gran baldanza.
Or non so dir se ben fusse seguito,
Però che gionse il conte di Maganza,
E per traverso ha il Saracin colpito;
Non se guardando forse da quel lato,
Tutto el distese fuor de arcione al prato.
- ↑ T., Ml. e P. qui.
- ↑ T. e Mr. Rimiscolata.