[St. 35-38] |
libro ii. canto xx |
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Et anco io l’ho compreso a quel ferire,
Che cresce nella fine a maggior lena,1
E però ti consiglio a dipartire,
Prima che ne abbi più tormento e pena;
Omo non è che possa sostenire
A la battaglia e’ colpi che lui mena;
Onde lasciar la impresa ce bisogna,
Non ne volendo il danno e la vergogna.
Diceva a lui Costanzo: Or datti il core,
S’io faccio che colui ne vada via,
Poi de acquistare a nostra parte onore
E in campo mantenir l’insegna mia?
Grifon rispose a lui, che per suo amore,
Quel che potesse far, tutto faria;
E che egli aveva fermamente ardire
Contra ad ogni altro il campo mantenire.2
Il Greco, che era di malizia pieno
(Come son tutti de arte e di natura),
Quando la luce al giorno venne meno,
Uscì de casa per la notte scura,
E via soletto sopra a un palafreno,
Ove era Orlando di trovar procura,
E trovato che l’ebbe, queto queto
Lo trasse in parte e a lui parlò secreto;3
E dimostrògli che il re Tibïano
Secretamente facea gente armare,
Perchè era gionto un messaggio di Gano,
Il qual cercava Orlando far pigliare;
Però, se egli era desso, a mano a mano
Vedesse quel paese disgombrare;4
E perciò a ritrovarlo era venuto,
Per palesarli questo e dargli aiuto;
- ↑ P. e nella fine ha.
- ↑ P. Contra d’ogni.
- ↑ T. e Mr. omm. e; Ml. et.
- ↑ P. Dovute.