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[St. 7-10] libro ii. canto ii 25

         Davanti a gli altri il figlio del re Otone,1
     Astolfo dico, sopra a Rabicano,
     Dicendo sue devote orazïone,2
     Come era usato il cavallier soprano.
     Ecco davanti sede in su un petrone
     Una donzella e batte mano a mano;
     Battese ’l petto e battese la faccia
     Forte piangendo, e le sue treccie straccia.

         Misera me! diceva la donzella
     Misera me! tapina! isventurata!
     O parte del mio cor, dolce sorella,
     Così non fosti mai nel mondo nata,
     Poi che quel traditor sì te flagella!
     Meschina me! meschina! abandonata!
     Poi che fortuna mi è tanto villana,
     Ch’io non ritrovo aiuto a mia germana.3

         — Qual cagione hai, Astolfo gli diciva,
     Che ti fa lamentar sì duramente?
In questo ragionar Ranaldo ariva,
     Gionge Prasildo e Iroldo di presente.
     La dama tutta via forte piangiva,
     Sempre dicendo: Misera! dolente!
     Con le mie mane io mi darò la morte,
     S’io non ritrovo alcun che mi conforte.

         Poi, vòlta a quei baron, dicea: Guerrieri,
     Se aveti a’ vostri cor qualche pietate,
     Soccorso a me per Dio! che n’ho mestieri
     Più che altra che abbia al mondo aversitate.
     Se drittamente seti cavallieri,
     Mostratimi per Dio! vostra bontate
     Contra a un ribaldo, falso, traditore,
     Pien di oltraggio villano e di furore.

  1. P. è il.
  2. P. sua devota.
  3. Ml. ritrova; P. ritrovi.