[St. 19-22] |
libro ii. canto xx |
337 |
Orlando per vedere il fatto aperto
Non volse ne la folta troppo intrare;
Ma quel Morbeco turco, che era esperto
In tal mestiero e ben lo sapea fare,
Se trasse avante in su un destrier coperto,
E sopra gli altri si facea mirare;
Qualunche giongie o de urto, o de la spada,
Sempre è mestier che al tutto a terra vada.
E già da sei de quei di Norandino
Avea posti roverso in su il sabbione,
Nè ancor s’arresta, ma per quel confino
Più furia mena e più destruzïone;
Onde turbato quel re saracino
A tutta briglia sprona il suo ronzone,
E sopra di Morbeco andar si lassa,
E di quello urto a terra lo fraccassa.
Dapoi Basaldo, che più presso gli era,
Percosse ad ambe mano in su la testa;
Nè lo diffese piastra ni lamiera,
Chè a terra lo mandò con gran tempesta.
Tutta a roina pone quella schiera,
A lui davante alcun più non s’arresta.
Oh quanto è lieta Lucina la dama,
Vedendo far sì bene a chi tanto ama!
Costanzo il greco, che vede sua gente
Sì mal condutta da quel Sorïano,
Turbato for di modo nella mente,
Gli sprona adosso con la spada in mano.
L’uno e l’altro di loro era valente,
Onde alcun tratto non andava in vano;
Al fin menò Costanzo un colpo fiero
E ruppe il monte e il foco del cimiero.1
- ↑ Ml. e Mr. rompe; T. foco di c.; Mr. foco de c.