[St. 27-30] |
libro ii. canto xix |
323 |
Nè la temenza di dover morire
Mi pone di spogliarti in questa brama,
Ma nella mente non posso soffrire
Veder poner a morte la mia dama;
E ben son certo, se potessi odire,
Se sì fosti cortese, come hai fama,
Odendo la cagion perchè io ti prego,
Non mi faresti a tal dimanda niego.
Parlava in questo modo il cavalliero
A quel re morto con piatoso core,1
Il quale era ancor bello e tutto intiero,2
Sì come occiso fosse di tre ore;
E stando Brandimarte in quel pensiero,
Sentì davanti al bosco un gran romore,
Qual facea Barigaccio per le fronde,
Che rami e bronchi e ogni cosa confonde.
Presto adobosse il cavalliero ardito
Di piastra e maglia e de ogni guarnisone,
Prese Tranchera, il bel brando forbito,
E lo elmo che far fece Salamone.
De tutte l’armi a ponto era guarnito,
Quando sopra gli gionse quel ladrone,
Il qual, mirando de intorno e da lato,
E suoi compagni vidde in pezzi al prato.
Fermosse alquanto, e poi che gli ha veduti,3
Disse: In malora, gente da bigonci!
Chè non me incresce de avervi perduti,
Poi che un sol cavallier così vi ha conci;
Chè io voria prima, se Macon me aiuti,
Ne la mia compagnia cotanti stronci.
Colui voglio impicar senza dimora,
E voi con sieco, così morti, ancora.
- ↑ T. e Ml. piatoso.
- ↑ Ml. Qual era ancor; Mr. Qual era anco; P. Qual era ancora.
- ↑ T., Mr. e P. omm. e.