[St. 47-50] |
libro ii. canto xviii |
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Convien che spesso il conte se ritorza,
Perchè ciascun de intorno l’aggraffava.
Ora il suo re, sì come avea più forza,
Maggior baston de gli altri assai portava,
Et era tutto armato de una scorza;
Giù per la barba gli cadea la bava,
Che colava di bocca e del gran naso,
Come un cane arabito, a quel malvaso.
Più di tre palmi sopra gli altri avanza
Questo re maledetto che io vi conto;
Orlando lo assalì con gran possanza,
E dritto a mezo il capo l’ebbe gionto;
Callò il brando nel petto e nella panza,
Sì che in due parte lo divise a ponto,
E cadde da due bande alla foresta;
Il conte dà tra gli altri e non s’arresta.
E fece un tal dalmaggio in poco de ora,1
Che di quella canaglia maledetta
Non vi è persona che faccia dimora
Avanti al conte: tristo chi lo aspetta!
Perchè col brando in tal modo lavora,
Che non si trova nè pezzo nè fetta
De alcun, che morto al campo sia rimaso,
Qual sia maggior che prima fosse il naso.
Onde lui restò solo in quel vallone,
Et era il giorno quasi tutto spento,
Quando esso se adobbò sue guarnisone;2
E di mangiare avendo un gran talento,
Venne alla mensa, a quelle imbandisone,
Le qual mirando quasi ebbe spavento,
Però che quelle gente disoneste
Cotte avean bracie umane e piedi e teste.
- ↑ P. omm. un.
- ↑ P. sua guarnigione.