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orlando innamorato |
[St. 59-62] |
Ma per aver ristoro o compagnia
A quel dolor che a morte la tirava,
Struggendosi de amor, fu tanto ria,
Che la fontana in tal modo affatava,
Che ciascun, qual passasse in quella via,
Se sopra a l’acqua ponto rimirava,
Scorgea là dentro faccie di donzelle,
Dolce ne gli atti e grazïose e belle.
Queste han ne gli occhi lor cotanta grazia,
Che chi le vede, mai non può partire,1
Ma in fin convien che amando se disfazia,
Et in quel prato è forza de morire.
Ora ivi arivò già per sua disgrazia2
Un re gentile, accorto e pien d’ardire,
Quale era in compagnia de una sua dama:
Lei Calidora e lui Larbin si chiama.
Essendo questo alla fonte arivato,
E dello incanto non essendo accorto,
Per la falsa sembianza fu ingannato,
E sopra l’erbe ivi rimase morto.
La dama, che l’avea cotanto amato,
Abandonata de ogni suo conforto,
Si pose a lacrimare in quella riva,
E star si vole insin che serà viva.3
Questa è la dama che piangeva al sasso,
E il ponte al cavallier facea guardare,
Acciochè ogni altro che arivava al passo
Non se potesse a quel fonte mirare.
Da poi che il suo Larbin dolente e lasso
Per quello incanto vidde consumare,
Pietà gli prese de ogni altra persona,4
E stassi al fonte, e mai non l’abandona.
- ↑ Mr. ma non può; P. vede non si può.
- ↑ Ml., Mr. e P. già per.
- ↑ Mr. volse — P. lì vuole.
- ↑ P. Pietà la.