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[St. 55-58] libro ii. canto xvii 295

55 Esso, mirando il suo gentile aspetto,
     Che di beltate non avea pariglio,
     Se consumava di estremo diletto,
     Mancando a poco a poco, come il ziglio
     O come incisa rosa, il giovanetto,
     Sin che il bel viso candido e vermiglio
     E gli occhi neri e ’l bel guardo iocondo
     Morte distrusse, che destrugge il mondo.

56 Quindi passava per disaventura
     La fata Silvanella a suo diporto,
     E dove adesso è quella sepoltura
     Iacea tra’ fiori il giovanetto morto.
     Essa, mirando sua bella figura,
     Prese piangendo molto disconforto,
     Nè se sapea partire; e a poco a poco
     Di lui s’accese in amoroso foco.

57 Benchè sia morto, pur di lui s’accese,
     Avendo di pietate il cor conquiso,
     E lì vicino a l’erba se distese,
     Baciando a lui la bocca e il freddo viso,
     Ma pur sua vanitate al fin comprese,
     Amando un corpo dal spirto diviso,
     E la meschina non sa che si fare:
     Amar non vôle, e pur conviene amare.

58 Poi che la notte e tutto l’altro giorno
     Ebbe la fata consumato in pianto,
     Un bel sepolcro di marmoro adorno
     In mezo il prato fece per incanto;
     Nè mai poi se partitte ivi de intorno,
     Piangendo e lamentando, infino a tanto
     Che a lato alla fontana in tempo breve
     Tutta se sfece, come al sol la neve.