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[St. 47-50] | libro ii. canto xvii | 293 |
47 E benchè a ciascun d’essi un’altra volta
Sembri aver visto il peregrino altronde,
Lo abito strano e la gran barba e folta
Non gli lascia amentare il come o il donde.
Or la battaglia è ben stretta e ricolta,
Nè abatte il vento sì spesso le fronde,
Nè si spessa la neve o pioggia cade,
Come son spessi e colpi de le spade.
48 Il peregino ognior del ponte avanza,
Come colui che a meraviglia è fiero,
Ed era de alto ardire e gran possanza,
Onde avea già ferito il cavalliero
Nel braccio, nella testa e nella panza,
Sì che ritrarsi gli facea mestiero;
E benchè ancor mostrasse ardita fronte,
Pur se ritrava abandonando il ponte.
49 Era di là dal ponte una pianura
Intorno al sasso di quella fontana;
Quivi era un marmo de una sepoltura,
Non fabricata già per arte umana,
E sopra, a lettre d’oro, una scrittura,
La qual dicea: ’ Bene è quella alma vana,
Qual s’invaghise mai del suo bel viso;
Quivi è sepolto il giovane Narciso.’
50 Narciso fu in quel tempo un damigello
Tanto ligiadro e di tanta bellezza,
Che mai non fu ritratta con pennello
Cosa che avesse in sè cotal vaghezza;
Ma disdegnoso fu come fu bello,
Però che la beltate e l’alterezza
Per le più volte non se lascian mai,
Dil che perita è gran gente con guai:
•2A. MI. invanisce; Mr. invagiste mal. — 24. Mr. ene. — 82. MI. e P. Del.