[St. 51-54] |
libro ii. canto xvi |
279 |
Il re rispose sorridendo un poco:
Non si vol far là giù destruzïone,1
Perchè la gente che vedi in quel loco,
De Africa è tutta et adora Macone.
Quello armeggiare è fatto per un gioco,
E sol si mena il brando di piattone;
Di taglio, nè di ponta non si mena:
Ciò comandato è sotto grave pena.
— Damme pur il destriero e l’armatura,
Dicea Rugiero, et altro non curare,2
Però che io ti prometto alla sicura3
Che io saprò come loro il gioco fare.
Ma tu me indugiarai a notte oscura,
Prima che io possa a quel campo arivare.
Male intende colui che in tempo tiene,
Chè mezo è perso il don che tardi viene.4
Odendo questo il vecchione Atalante,
Però che era presente a le parole,
Biastemava le stelle tutte quante,
Dicendo: Il celo e la fortuna vôle
Che la fè di Macone e Trivigante
Perda costui, che è tra’ baroni un sole,
Che a tradimento fia occiso con pene;
Or sia così, dapoi che esser conviene.5
Così parlava forte lacrimando
Quel negromante, e con voce meschine
Dicea: Filiolo, a Dio ti racomando! 6
Poi se ascose lì presso tra le spine.
Ma il giovanetto avea già cento il brando,
E guarnito era a maglie e piastre fine,
E preso al zuffo il bon destriero ardito,7
Sopra lo arcion de un salto era salito.
- ↑ Ml. e Mr. vol; P. vuol.
- ↑ Ml. e de l’altro; P. e d’altro.
- ↑ P. omm. io.
- ↑ P. perso è.
- ↑ Ml., Mr. e P. sia.
- ↑ Ml. ricomando; Mr. aricomando.
- ↑ Ml. prese.