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[St. 67-70] libro ii. canto xv 265

67 Non lo abandona la donzella altiera,
     Ma giorno e notte senza fine il caccia,
     Nè monte alpestro, nè grossa riviera,
     Nè selva, nè palude mai lo impaccia.
     Ma Frontalate, la bestia legiera,
     Li facea indarno seguitar tal traccia:
     Quel bon destrier, che fu di Sacripante,
     Come un uccello a lei fugge davante.

68 Quindeci giorni già l’avea seguito,
     Nè d’altro che di fronde era pasciuta.
     Il falso ladro, che è forte scaltrito,
     Ben de altro pasto il suo fuggire aiuta;
     Perchè era tanto presto e tanto ardito,
     Che ogni taverna che avesse veduta,
     Dentro ve intrava e mangiava di botto,
     Poi via fuggiva e non pagava il scotto.

69 E benchè i teverneri e’ lor sergenti
     Dietro li sian con orci e con pignate,
     Lui se ne andava stropezando e denti,
     E faceva a ciascun mille ghignate.
     A le qual fare avea tanti argomenti,
     Che donne spoletane o folignate,
     Qual porton l’ovo da matina a cena,
     Se avrian guardate da’ suoi tratti apena.

70 E pur Marfisa sempre il seguitava,
     Quando più longi, e quando più dapresso.
     - Al ladro! al ladro! - sempre mai cridava,
     E ciascun rispondeva: - Egli è ben desso. -
     Ogniom di quel giotton se lamentava,
     Perchè e miglior boccon pigliava spesso,
     E loro il menacciavan pur col dito.
     Ora non più, chè il canto è qui finito.



 

15. Mr. mntro ne. — 28. P. quai. — 30. T., MI. o Mr. omm. «' j P. •".