[St. 43-46] |
libro ii. canto xv |
259 |
Quando fu gionto alla selva fronzuta,
Dritto ne andava al Fonte di Merlino:
Al Fonte che de amore il petto muta,
Là dritto se n’andava il paladino.1
Ma nova cosa che egli ebbe veduta,
Lo fece dimorare in quel camino:
Nel bosco un praticello è pien de fiori
Vermigli e bianchi e de mille colori.
In mezo il prato un giovanetto ignudo
Cantando sollacciava con gran festa.
Tre dame intorno a lui, come a suo drudo,
Danzavan, nude anch’esse e senza vesta.
Lui sembianza non ha da spada o scudo,
Ne gli occhi è bruno, e biondo nella testa;
Le piume della barba a ponto ha messe:
Chi sì, chi no direbbe che le avesse.
Di rose e de vïole e de ogni fiore
Costor che io dico, avean canestri in mano,
E standosi con zoia e con amore,
Gionse tra loro il sir de Montealbano.
Tutti cridarno: Ora ecco il traditore, 2
(Come l’ebber veduto ), ecco il villano!
Ecco il disprezator de ogni diletto,
Che pur gionto è nel laccio al suo dispetto!3
Con quei canestri al fin de le parole
Tutti a Ranaldo se aventarno adosso:
Chi getta rose, chi getta vïole,
Chi zigli e chi iacinti a più non posso.
Ogni percossa insino al cor li duole
E trova le medolle in ciascuno osso,
Accendendo uno ardore in ogni loco
Come le foglie e i fior fosser di foco.
- ↑ T. e Mr. drieto (dreto?).
- ↑ P. gridando.
- ↑ P. Ch’è.