[St. 27-30] |
libro ii. canto xv |
255 |
Quando Ranaldo intese che a quel loco
Andava Rodamonte a ricercarlo,
Di questa gente si curava poco,
E più presto partì che io non vi parlo.
Il cuor gli fiammeggiava come un foco
Del gran desio che avea di ritrovarlo,
E via trottando a gran fretta camina
Verso ponente, a canto alla marina.
E Rodamonte simigliantemente
De giongere ad Ardena ben se spaccia;
E parlava tra sè nella sua mente,
Dicendo: Questo dono il ciel mi faccia,
Pur che ritrovi quel baron valente,
O ch’io l’occida, o torni sieco in graccia;
Chè, essendo morto, in terra non ho pare,
E se egli è meco, il cel voglio acquistare.
Nè creder potrò mai che ’l conte Orlando
Abbia di questo la mera bontate.1
Io l’ho provato, e di lancia e di brando
Non è il più forte al mondo in veritate.
O re Agramante, a Dio ti racomando,
Se tu discendi per queste contrate!
Essendote io, come serò, lontano,
Tutta tua gente fia sconfitta al piano.
Come diceva il vero il re Sobrino!
Sempre creder si debbe a chi ha provato.
Or, s’egli è tale Orlando paladino
Come costui che meco a fronte è stato,
Tristo Agramante et ogni saracino
Che fia di qua dal mar con lui portato!
Io, che tutti pigliarli avea arroganza,
Assai ne ho de uno, e più che di bastanza.