[St. 19-22] |
libro ii. canto xv |
253 |
Però che il bon Ranaldo era tornato
A rimontar Baiardo, il suo destriero.
Ma poi che al saracin fu ciò contato,
Lascia sua gente e più non gli ha pensiero.
Il caval de Dudone ebbe pigliato,
Quale era grande a maraviglia e fiero;
Sopra vi salta il forte saracino,
E verso Ardena prende il suo camino.
Una grossa asta e troppo sterminata
Fuor de la nave sua fece arrecare,1
E non aspetta luce nè giornata,
Ma quella notte prese a caminare;
Onde sua gente, che era abandonata,
Senza il suo aiuto non sa che si fare;
Tutti smariti e pien de alto spavento
Entrarno in nave e dier le vele al vento.
Ogni pregione e tutto il loro arnese
Portavan alle nave con gran fretta;2
Dudon tra’ primi, il giovane cortese,
Menava via la gente maledetta.
Ma chi fu tardo a distaccar le prese,
Sopra di lor discese la vendetta,
Perchè Ranaldo, a destrier risalito,
Con gran ruina gionse in su quel lito.
De Rodamonte va il baron cercando
Per ogni loco a lume della luna;3
A nome lo dimanda e va cridando
Ad alta voce per la notte bruna;
E sopra alla marina riguardando
Vede la gente che l’arnese aduna:
A più poter ciascun forte se tràffica
Per porlo in nave e via passare in Africa.
- ↑ T. arrecchare.
- ↑ T. alla.
- ↑ P. al lume.