[St. 43-46] |
libro ii. canto xiv |
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Un muro avria gettato il fio de Amone,
Con tal furore è dal destrier portato,
E gionse Rodamonte nel gallone,
E roverso il mandò per terra al prato.
Come caduto fosse un torrïone,
O il iugo de un gran monte roïnato,
Cotal parve ad odir quel gran fraccasso,
Quando giù cadde l’Africano al basso.
Non si puotria contar l’alta roina,
Chè suonâr l’arme che ha il pagano in dosso,
E tremò il campo insino alla marina,
Di quel gran busto quando fu percosso.
Or se mosse la gente saracina,
Tutti a Ranaldo s’aventarno addosso;
Per aiutare il suo segnor ch’è a terra,
Adosso de Ranaldo ogniom si serra.
Lui già del fodro avea tratto Fusberta,
E dà tra lor, chè non gli stima un fico;
De prima urtata ha quella schiera aperta,
Nè discerne il parente da lo amico,
Perchè la gente misera e diserta
Taglia senza rispetto, come io dico;
A chi la testa, a chi rompe le braccia:1
Non dimandar se intorno al campo spaccia.
Ma Rodamonte, la anima di foco,
Di novo si era in piedi redricciato,
E per grande ira non trovava loco,
Chiamandosi abattuto e vergognato.
Già tutta la sua gente a poco a poco,
Rotta per forza, abandonava il prato,
Quando vi gionse il superbo Africante,
Et a Ranaldo se oppose davante.
- ↑ Ml. e P. la testa rompe, a chi.