[St. 35-38] |
libro ii. canto xiv |
239 |
Or, come io dico, Rodamonte il porta,
E sopra al campo mena tal ruina,
Che avea più gente dissipata e morta,
Che non han pesci e fiume e la marina;
E gli altri tutti, senza guida e scorta,
Per monti e per valloni ogniom camina;
Pur che si toglia a lui davanti un poco,
Non guarda ove se vada, o per qual loco.
Ranaldo che era gionto alla montagna,
Mirando giuso la sconfitta al basso,
Chè già de morti è piena la campagna,
E gli altri vòlti in fuga a gran fraccasso,
Forte piangendo quel baron se lagna,
Ahimè, dicendo sconsolato e lasso,
Che io non spero più mai de aver conforto!
Tra quella gente il mio segnore è morto!
Or che debbo più far, tristo, diserto,
Che certamente morto è il re Carlone?
Già pur in qualche guerra io sono esperto,
E mai non vidi tal destruzïone.
Re Carlo è là giù morto, io scio di certo,1
E debbe avere apresso il duca Amone,
Che gli portava sì fidele amore;
Io so che occiso è apresso al suo segnore.2
Ove è il franco Oliviero, ove è il Danese,
Re di Bertagna, il duca di Baviera?
Ove la falsa gesta maganzese,
Che si mostrava sì superba e altiera?
Alcun non vedo che faccia diffese,
Nè sola al campo ritta una bandiera.
Tutti son morti, e non potria fallire;
Et io con sieco al campo vo’ morire.
- ↑ P. là già.
- ↑ P. ch’è occiso.