14 |
orlando innamorato |
[St. 43-46] |
Sì che lascia per Dio! la mala impresa,
E frena l’ardir tuo con tempo e spaccio.
Dolce segnor, s’io te faccio contesa,
Sicuramente più de gli altri il faccio,
E d’ogni danno tuo troppo mi pesa,
Chè piccoletto t’ho portato in braccio;
E tanto più me stringe il tuo periglio,
Ch’io te ho come segnore e come figlio.
Fu il re Branzardo a terra ingenocchiato,
Poi nel suo loco ritorna a sedere.
In piede un altro vecchio fu levato,1
Ch’è ’l re d’Algoco, et ha molto sapere:
Nostro paese avea tutto cercato,
Però che fu mandato a provedere
Dal re Agolante ogni nostro confino,
Et è costui nomato il re Sobrino.
Segnor, disse costui, la barba bianca,
Qual porto al viso, dà forse credenza
Che per vecchiezza l’animo mi manca;
Ma per Macon ti giuro e sua potenza,
Che, a bench’io senta la persona stanca,
De l’animo non sento differenza
Da quel ch’egli era nel tempo primiero,
Che andai a Rissa a ritrovar Rugiero.2
Sì che non creder che per codardia
Il tuo passaggio voglio sconfortare,
Nè per la tema della vita mia,
Che in ogni modo poco può durare.
Benchè di piccol tempo e breve sia,
Spender la voglio sì come ti pare;
Ma, come quel che son tuo servo antico,
Quel che meglio mi par, conseglio e dico.
- ↑ T. e Ml. piedi.
- ↑ T., Ml. e Mr. rissa.