[St. 55-58] |
libro ii. canto xiii |
227 |
Alcina fu sorella di Morgana,
E dimorava al regno de gli Atàrberi,
Che stanno al mare verso tramontana,
Senza ragione immansueti e barberi.
Lei fabricato ha lì con arte vana
Un bel giardin de fiori e de verdi arberi,
E un castelletto nobile e iocondo,
Tutto di marmo da la cima al fondo.
E tre baroni, come aveti odito,
Passarno quindi acanto una matina,
E, mirando il giardin vago e fiorito,
Che a riguardar parea cosa divina,
Voltarno gli occhi a caso in su quel lito
Ove la fata sopra alla marina
Facea venir con arte e con incanti
Sin fuor de l’acqua e’ pesci tutti quanti.1
Quivi eran tonni e quivi eran delfini,
Lombrine e pesci spade una gran schiera;2
E tanti ve eran, grandi e piccolini,
Ch’io non so dire il nome o la manera.
Diverse forme de mostri marini,
Rotoni e cavodogli assai vi ne era;
E fisistreri e pistrice e balene
Le ripe aveano a lei d’intorno piene.
Tra le balene vi era una maggiore,
Che apena ardisco a dir la sua grandeza,3
Ma Turpin me assicura, che è lo autore,
Che la pone due miglia di lungheza.
Il dosso sol de l’acqua tenea fuore,
Che undici passi o più salia d’alteza,
E veramente a’ riguardanti pare4
Un’isoletta posta a mezo il mare.
- ↑ T-., Ml. e P. de.
- ↑ Ml. e P. spade una gran.
- ↑ Ml. e P. a dir.
- ↑ P. a chi la guarda.