[St. 23-26] |
libro ii. canto xiii |
219 |
Ma nella gionta diè de mano al crino,
Che sventillava biondo nella fronte.
Alor la falsa con viso volpino,
Con dolci guardi e con parole pronte
Dimanda perdonanza al paladino
Se mai dispetto gli avea fatto on onte,
E per ogni fatica in suo ristoro
Promette alte ricchezze e gran tesoro.
Pur che gli lascia il giovanetto amante,
Promette ogni altra cosa alla sua voglia;
Ma il conte sol dimanda Zilïante
E stima tutto il resto una vil foglia.
Or chi direbbe le parole tante,
Il lamentare e i pianti pien di doglia,
Che faceva Morgana in questa volta?1
Ma nulla giova: il conte non l’ascolta.
Et ha già preso Zilïante a mano,
E fora del giardin con esso viene,
Nè della fata teme incanto istrano,
Poi che nel zuffo ben presa la tiene.2
Lei pur se dole e se lamenta invano,
E non trova soccorso alle sue pene;
Ora lusinga, or prega et or minazza,
Ma il conte tace e vien dritto alla piazza.
Quella passarno, e cominciarno a gire
Su per la scala e tra que’ sassi duri,
E quando furno a ponto per uscire
Fuor della porta e de quei lochi oscuri,3
Allora il conte a lei cominciò a dire:
Vedi, Morgana, io voglio che mi giuri
Per lo Demogorgone a compimento
Mai non mi fare oltraggio o impedimento.
- ↑ Ml., Mr. e P. questa.
- ↑ P. pel.
- ↑ Ml. oscuri.