[St. 27-30] |
libro ii. canto xi |
189 |
Et è ferito ancora in molte parte,
Ma più disconciamente nel costato,
Onde malvaggio torna alle sue arte
Per tramutarse, come era adusato;
L’arme, che intorno avea tagliate e sparte,
Gettarno foco e fiamma in ogni lato,
Facendo sopra loro un fumo scuro;
Tremò la terra in cerco e tutto il muro.
Lui si fece demonio a poco a poco:
Come un biscione avea la pelle atorno,
Da nove parte fuor gettava il foco,
E sopra ad ogni orecchia avea un gran corno;
Tutte le membre avea nel primo loco,
Ma sfigurato dalla notte al giorno,
Perchè ha la faccia orrenda e tanto scura,
Che puotea porre a ciascadun paura.
E l’ale grande avea di pipastrello,1
E le mane agriffate come uncino,
Li piedi d’oca e le gambe de ocello,2
La coda lunga, come un babuïno.
Un gran forcato prese in mano il fello,
Con esso vien adosso al paladino,
Soffiando il foco e degrignando e denti,
Con cridi et urli pien d’alti spaventi.
Fecesi il conte il segno della croce,
Poi sorridendo disse: Io me credetti
Già più brutto il demonio e più feroce.
Via nell’inferno va, tra’ maledetti,
Là dove è il fuoco eterno che vi coce;
E certo io provarò, se tu me aspetti
Alla battaglia, come sei gagliardo,
O vogli esser demonio, o Balisardo.
- ↑ Ml. papastrello; P. pipistrello.
- ↑ P. Le piante.