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orlando innamorato |
[St. 23-26] |
Mutato, come io dico, a poco a poco,
Tutto era drago il perfido gigante,
Gettando per l’orecchie e bocca foco,
Con tal romore e con fiaccole tante,
Che le muraglie intorno di quel loco
Pareano incese a fiamma tutte quante.
Ben puotea fare a ciascadun paura,
Perchè era grande e sozzo oltra misura.
Ma non smarritte la persona franca
Del giovanetto, degno d’ogni loda.
Viensene il drago e nel scudo lo branca,
E per le gambe volta la gran coda,
Sì che, prendendo intorno ciascuna anca,
Giù per le coscie insino ai piè l’annoda;
Non se spaventa per questo Dudone,
Gietta la mazza e prende quel dragone.
Nel collo il prese, a presso de la testa,1
Ad ambe mani, e sì forte l’afferra,
Che a quella bestia, che è tanto robesta,
Il fiato quasi e l’anima gli serra.
Da sè lo spicca, e poi con gran tempesta
Lo gira ad alto e trallo in su la terra,
Che era la strata a pietra marmorina;
Sopra vi batte il drago a gran roina.
Là dove gionse, se aperse la piaccia,
Tutto si fese il marmo da quel lato;
Sotto la terra il serpente se caccia,
Benchè di fora è subito tornato.
Ma già cangiata avea persona e faccia,
Et era istranamente trasformato,
Chè il busto ha d’orso e ’l capo de cingiale:
Mai non se vidde il più crudo animale.