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[St. 3-6] libro ii. canto x 167

         E nel presente dico de Ranaldo,
     Che, essendo apena de un periglio uscito,
     A sotto entrare a l’altro era più caldo,
     Nè se fu per incanto sbigotito.
     Benchè Aridano, il saracin ribaldo,
     Lo avesse già per tale arte schernito,
     Con Balisardo or torna al parangone,
     Spezzando incanto et ogni fatasone.1

         Come io ve dissi nel canto passato,
     Là giù per l’acqua il paladin sicuro
     Alla foce del fiume fu portato,
     Ove tra due castella è lo gran muro;
     E come vidde quel dismisurato,
     Qual sopra ’l ponte con sembiante scuro2
     Strideva in voce di tanta roina,
     Che ne tremava il fiume e la marina.

         Ciascun de quei baron che lo han veduto,
     De azuffarse con lui prese disio,
     Benchè fusse tanto alto e sì membruto,
     E nel sembiante sì superbo e rio.
     Sopra l’arco del ponte era venuto
     Quel maledetto e sprezzator di Dio,
     Sol per veder chi fusse questa gente
     Che giù callava per l’acqua corrente.

         Quando la dama il vide da lontano,
     Pallida in viso venne come terra,
     E dal timone abandonò la mano,
     Tanta paura l’animo li afferra;
     Ma Dudon franco e il sir di Montealbano
     E gli altri dui, che han voglia di far guerra,3
     Lasciâr la dama nè morta nè viva,
     E for di barca uscirno in su la riva.

  1. T. Spezzando; Ml. e Mr. speciando.
  2. P. Che.
  3. Ml. doi; Mr. dui.