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158 orlando innamorato [St. 31-34]

         E dentro a l’altra porta eran passati,
     Ove sta ne la piazza il gran tesoro:
     Quel re che siede e gli altri fabricati1
     De robini e diamanti e perle et oro.
     Tutti color che furno impregionati
     Miravan con stupore il gran lavoro;
     Ma non ardisce alcun porve la mano
     Temendo incanto o qualche caso istrano.

         Ranaldo, che non scia che sia dotanza,
     Prese una sedia, che è tutta d’ôr fino,
     Dicendo: Questa io vo’ portare in Franza,
     Chè io non feci giamai più bel bottino.
     A’ miei soldati io donarò prestanza,
     Poi non affido amico, nè vicino,
     O prete, o mercatante, o messaggero;
     Qualunche io trova, io manderò legiero.

         Il conte li dicea che era viltate
     A girne carco a guisa de somiero.
     Disse Ranaldo: E’ mi ricordo un frate
     Che predicava, et era suo mestiero
     Contar della astinenza la bontate,
     Mostrandola a parole de legiero;
     Ma egli era sì panzuto e tanto grasso,
     Che a gran fatica potea trare il passo,

         E tu fai nel presente più nè meno,
     E drittamente sei quel fratacchione,
     Che lodava il degiuno a corpo pieno,
     E sol ne l’oche avea devozïone.
     Carlo ti donò sempre senza freno,2
     E datti il Papa gran provisïone,
     Et hai tante castelle e ville tante,
     E sei conte di Brava e sir de Anglante.

  1. P. e ’l Re.
  2. Ml., Mr e P. dona.