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orlando innamorato |
[St. 31-34] |
E dentro a l’altra porta eran passati,
Ove sta ne la piazza il gran tesoro:
Quel re che siede e gli altri fabricati1
De robini e diamanti e perle et oro.
Tutti color che furno impregionati
Miravan con stupore il gran lavoro;
Ma non ardisce alcun porve la mano
Temendo incanto o qualche caso istrano.
Ranaldo, che non scia che sia dotanza,
Prese una sedia, che è tutta d’ôr fino,
Dicendo: Questa io vo’ portare in Franza,
Chè io non feci giamai più bel bottino.
A’ miei soldati io donarò prestanza,
Poi non affido amico, nè vicino,
O prete, o mercatante, o messaggero;
Qualunche io trova, io manderò legiero.
Il conte li dicea che era viltate
A girne carco a guisa de somiero.
Disse Ranaldo: E’ mi ricordo un frate
Che predicava, et era suo mestiero
Contar della astinenza la bontate,
Mostrandola a parole de legiero;
Ma egli era sì panzuto e tanto grasso,
Che a gran fatica potea trare il passo,
E tu fai nel presente più nè meno,
E drittamente sei quel fratacchione,
Che lodava il degiuno a corpo pieno,
E sol ne l’oche avea devozïone.
Carlo ti donò sempre senza freno,2
E datti il Papa gran provisïone,
Et hai tante castelle e ville tante,
E sei conte di Brava e sir de Anglante.
- ↑ P. e ’l Re.
- ↑ Ml., Mr e P. dona.