[St. 19-22] |
libro ii. canto ix |
155 |
Attienti, cavalliero, a quella chioma,1
Che nella mano hai volta, de Ventura,
E guarda de iustar sì ben la soma,
Che la non caggia per mala misura.
Quando costei par più quïeta e doma,
Alor del suo fuggire abbi paura,
Chè ben resta gabbato chi li crede,
Perchè fermezza in lei non è, nè fede.
Così parlò la dama scolorita,
E dipartisse al fin del ragionare;
A ritrovar sua grotta se n’è gita,
Ove se batte e stasse a lamentare.
Ma il conte Orlando l’altra avea gremita,
Come io vi dissi, e, senza dimorare,
Or con minaccie or con parlar suave
De la pregion domanda a lei la chiave.
Ella con riso e con falso sembiante
Diceva: Cavalliero, al tuo piacere
Son quelle gente prese tutte quante,
E me con seco ancor potrai avere;
Ma sol de un figlio del re Manodante
Te prego che me vogli compiacere;
O mename con seco, o quel mi lassa,
Chè senza lui serìa de vita cassa.
Quel giovanetto m’ha ferito il core,
Et è tutto il mio bene e ’l mio disio,
Sì che io te prego per lo tuo valore
Che hai tanto al mondo, e per lo vero Dio,2
Se a dama alcuna mai portasti amore,
Non trar di quel giardin l’amante mio.
Mena con teco gli altri, quanti sono,
Chè a te tutti li lascio in abandono.
- ↑ Mr. Attento.
- ↑ Ml. e T. menime.