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152 orlando innamorato [St. 7-10]

         E però vengo a farte compagnia,
     Poi che lasciasti Morgana nel prato,
     E quanto durarà la mala via,
     Da me serai battuto e flagellato,
     Nè ti varrà lo ardire o vigoria,
     Se non serai di pacïenza armato.
     Presto rispose il figlio di Melone:
     La pacïenza è pasto da poltrone.1

         Nè te venga talento a farmi oltraggio,
     Chè pacïente non serò di certo.
     Se a me fai onta, a te farò dannaggio,
     E se mi servi ancor, ne avrai buon merto:
     Dico de accompagnarme nel vïaggio
     Dove io camino per questo diserto.
     Così parlava Orlando, e pur Morgana
     Tuttavia fugge et a lui se alontana.2

         Onde, lasciando mezo il ragionare,
     Dietro alla fata se pose a seguire,
     E nel suo cor se afferma a non mancare
     Sin che vinca la prova, o de morire.
     Ma l’altra, di cui mo vi ebbi a contare,
     Qual per compagna se ebbe a proferire,
     Se accosta a lui con atti sì villani,
     Che de cucina avria cacciati i cani.3

         Perchè, giongendo col flagello in mano,
     Disconciamente dietro lo battia.4
     Forte turbosse il senator romano,
     E con mal viso verso lei dicia:
     Già non farai ch’io sia tanto villano,
     Ch’io traga contra a te la spata mia;5
     Ma se a la trezza ti dono di piglio,
     Io te trarò di sopra al celo un miglio.

  1. Mr. è posta.
  2. P. Da lui tuttavia fugge e s’ali.
  3. Ml. e Mr avria.
  4. P. Sconciamente di.
  5. Ml., Mr. e P. contra a.