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[St. 47-50] libro ii. canto viii 145

         Ben distendevan l’una e l’altra mano
     Per abracciarse insieme ad ogni parte.
     Dice a Dudone: Io me affatico invano,1
     Chè in nulla forma mai potria toccarte.
     In quello giunse il sir de Montealbano,
     Che a braccio ne venìa con Brandimarte,
     E non sapevan del conte nïente;
     Ciascun di lor piangendo fu dolente.

         Disse Ranaldo: Egli ha pur l’armi in dosso,
     E tiene al fianco ancor la spata cinta:
     Ciascun de noi, per Dio! verrà riscosso,
     Chè sua prodezza non serà mai vinta;
     Abenchè rallegrar pur non mi posso,2
     Perchè io non so se l’ira ancora è extinta,
     Quando per colpa mia quasi fui morto,
     Alor che seco combatteva a torto.

         Ch’io non doveva per nulla cagione
     Prender con seco alcuna differenza;
     Egli è di me maggiore, e di ragione
     Lo debbo sempre avere in riverenza.3
     Diceva Brandimarte al fio d’Amone:
     Di questo ditto non aver temenza;4
     Così quindi te tragga Dio verace,
     Come tra voi farò presto la pace.

         E così l’un con l’altro ragionando,
     Come vi dico, assai pietosamente,
     Per caso allor se volse il conte Orlando,
     Et ambi li cognobbe incontinente;
     E piangendo di doglia e sospirando,
     Con parlar basso e con voce dolente
     Li adimandava con qual modo e quanto
     Fusser già stati presi a quello incanto.

3. 18.

20. 22.

  1. T. e Ml. Dicea.
  2. P. Come che.
  3. Ml. aver sempre; Mr. e P. avere sempre.
  4. Ml. e Mr. Non aver già di questo deto temanza; P. Non aver già di questo più tem.