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[St. 39-42] libro ii. canto viii 143

         L’aspra cornice di quel sasso altiero1
     Con tal parole a lettre era intagliata:2
     Tu che sei gionto, o dama, o cavalliero,
     Sappi che quivi facile è la entrata,
     Ma il risalir da poi non è legiero
     A cui non prende quella bona fata,
     Qual sempre fugge intorno e mai non resta,
     E dietro ha il calvo alla crinuta testa.’3

         Il conte le parole non intese,4
     Ma passa dentro quella anima ardita,
     E, come a ponto nel prato discese,
     Voltando gli occhi per l’erba fiorita
     Alto diletto riguardando prese;
     Perchè mai non se intese per odita,
     Nè per veduta in tutto quanto il mondo
     Più vago loco, nobile e iocondo.5

         Splendeva quivi il ciel tanto sereno,
     Che nul zaffiro a quel termino ariva,
     Et era d’arboscelli il prato pieno,
     Che ciascun avea frutti e ancor fioriva.
     Longe alla porta un miglio, o poco meno,
     Uno alto muro il campo dipartiva,
     De pietre trasparente e tanto chiare,
     Che oltra di quello il bel giardino appare.

         Orlando dalla porta se alontana,
     E mentre che per l’erba via camina,
     Vidde da lato adorna una fontana
     D’oro e di perle e de ogni pietra fina.
     Quivi distesa stavasi Morgana
     Col viso al cielo e dormiva supina,
     Tanto suave e con sì bella vista6
     Che rallegrata avrebbe ogni alma trista.

  1. P. nero.
  2. T., Ml. e Mr. tagliata.
  3. P. Che sempre fugge intorno il piano e ’l monte E dietro è calva, e’ crini ha solo in fronte.
  4. P. Conte a.
  5. P. Più bel luogo di quel ni più.
  6. P. In così bello, in così dolce.