[St. 7-10] |
libro ii. canto viii |
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Nè l’un da l’altro si potean spiccare,1
Sin che fur gionti in sul campo fiorito.
Quivi Aridano il volse disarmare,
Credendo averlo tanto sbigotito,
Che più diffesa non dovesse fare;2
A benchè tal pensier li andò fallito,
Però che non l’avea lasciato a pena,
Che ’l conte imbraccia il scudo e il brando mena.
Alor se incominciò l’aspra tencione
E l’assalto crudele e dispietato.
Il saracino adopra quel bastone
Che avrebbe a un colpo un monte dissipato.
Da l’altra parte il figlio di Melone
Avea quel brando ad arte fabricato,
Che cosa non fu mai cotanto fina,
E ciò che trova taglia con roina.
Orlando a lui ferì primeramente,
Come li uscitte a ponto delle braccia,3
E roppe avanti l’elmo relucente,
Benchè non gionse il colpo nella faccia.
Diceva il saracin tra dente e dente:
A questo modo la mosca se caccia,
A questo modo al naso si fa vento;
Ma ben ti pagarò, s’io non mi pento.
Tra le parole un gran colpo disserra,
Ma già non gionse il conte a suo talento,
Chè ben lo avria disteso morto a terra,
E tutto rotto con grave tormento.
Or se rinforza la stupenda guerra:
Quello ha possa maggior, questo ardimento,4
E ciascadun de vincer se procura:
Battaglia non fu mai più orrenda e scura.
- ↑ P. potea.
- ↑ P. tutto sbigottito, E che.
- ↑ T., Ml. e Mr. fia; P. figliuol.
- ↑ Ml. Quel... e questo; Mr. Questo... questo; P. Quello..; questo.