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[St. 7-10] libro ii. canto viii 135

         Nè l’un da l’altro si potean spiccare,1
     Sin che fur gionti in sul campo fiorito.
     Quivi Aridano il volse disarmare,
     Credendo averlo tanto sbigotito,
     Che più diffesa non dovesse fare;2
     A benchè tal pensier li andò fallito,
     Però che non l’avea lasciato a pena,
     Che ’l conte imbraccia il scudo e il brando mena.

         Alor se incominciò l’aspra tencione
     E l’assalto crudele e dispietato.
     Il saracino adopra quel bastone
     Che avrebbe a un colpo un monte dissipato.
     Da l’altra parte il figlio di Melone
     Avea quel brando ad arte fabricato,
     Che cosa non fu mai cotanto fina,
     E ciò che trova taglia con roina.

         Orlando a lui ferì primeramente,
     Come li uscitte a ponto delle braccia,3
     E roppe avanti l’elmo relucente,
     Benchè non gionse il colpo nella faccia.
     Diceva il saracin tra dente e dente:
     A questo modo la mosca se caccia,
     A questo modo al naso si fa vento;
     Ma ben ti pagarò, s’io non mi pento.

         Tra le parole un gran colpo disserra,
     Ma già non gionse il conte a suo talento,
     Chè ben lo avria disteso morto a terra,
     E tutto rotto con grave tormento.
     Or se rinforza la stupenda guerra:
     Quello ha possa maggior, questo ardimento,4
     E ciascadun de vincer se procura:
     Battaglia non fu mai più orrenda e scura.

  1. P. potea.
  2. P. tutto sbigottito, E che.
  3. T., Ml. e Mr. fia; P. figliuol.
  4. Ml. Quel... e questo; Mr. Questo... questo; P. Quello..; questo.