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orlando innamorato |
[St. 47-50] |
Onde io mi stimo il vero, anzi son certa
Che a tale impresa non potria durare,
Et io con teco, misera, diserta,
Dentro a quella acqua me vedo affogare;
Chè noi siam gionti troppo a la scoperta,
E non c’è tempo o modo di campare.1
Non è rimedio ormai: noi siam perduti,2
Come Aridano il fier ce abbia veduti.
Il conte, sorridendo a tal parole,
Disse alla dama ragionando basso:
Tutta la gente dove scalda il sole,
Non mi faria tornare adietro un passo.
Sciasselo Idio di te quanto mi dole,
Poi che soletta in tal loco te lasso;
Ma sta pur salda e non aver temanza:
Il ferro è il mezo a l’om che ha gran possanza.3
La dama ancor piangendo pur dicia:
Fuggi per Dio, baron, campa la morte!
Chè il conte Orlando qua non valeria,
Nè Carlo Mano e tutta la sua corte.
Lasciar m’incresce assai la vita mia,
Ma de la morte tua mi dol più forte,
Chè io son da poco e son femmina vile,
Tu prodo, ardito e cavallier gentile.4
Il franco conte a quel dolce parlare
A poco a poco si venìa piegando,
E destinava dietro ritornare.5
Oltra quel ponte d’intorno guardando
L’arme cognobbe che suolea portare
Il suo cugin Ranaldo, e lacrimando:
Chi mi ha fatto, dicea, cotanto torto?
O fior d’ogni baron, chi te me ha morto?
- ↑ P. Non c’è più tempo.
- ↑ P. Non c’è.
- ↑ T., Ml. e Mr. in (un?) mezo.
- ↑ P. omm. e.
- ↑ T. e Mr. omm. a.