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[St. 43-46] libro ii. canto vii 127

         Perchè qualunche il bel corno suonava,
     Era condutto alla morte palese.
     Sì lunga istoria dirti ora mi grava,
     Come le gente fusser morte, o prese.
     In poco tempo un barone arivava1
     (Il nome suo non scio, nè il suo paese):
     Lui vinse e tori, il drago e la gran guerra
     Di quella gente uscita della terra.

         Quel cavallier, persona valorosa,
     Così disfece il tenebroso incanto,
     Onde la fata vien sì desdignosa
     Che mai potesse alcun darsi tal vanto;
     E fie’ questa opra sì meravigliosa,
     Che, ricercando il mondo tutto quanto,
     Non serà cavallier di tanto ardire,
     Qual non convenga a quel ponte perire.

         Ella si pensa che quel campïone
     Che suonò il corno, quindi abbia a passare,
     O ver che per ardir, come è ragione,
     Venga questa aventura a ritrovare;
     Così l’averà morto, o ver pregione,
     Chè omo del mondo non potria durare.
     Per far perir quel cavallier Morgana
     Fatto ha quel lago, il ponte e la fiumana.

         E ricercando tutte le contrate
     De uno om crudel, malvaggio e traditore,
     Trovò Arridano senza pïetate
     Che già la terra non avea peggiore,
     E ben guarnito l’ha de arme affatate
     Et una maraviglia ancor maggiore,2
     Che qualunche baron sieco s’affronta,
     Sei tanta forza a lui vien sempre agionta.

  1. P. cavalier v’andava.
  2. P. E d’una.