[St. 43-46] |
libro ii. canto vii |
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Perchè qualunche il bel corno suonava,
Era condutto alla morte palese.
Sì lunga istoria dirti ora mi grava,
Come le gente fusser morte, o prese.
In poco tempo un barone arivava1
(Il nome suo non scio, nè il suo paese):
Lui vinse e tori, il drago e la gran guerra
Di quella gente uscita della terra.
Quel cavallier, persona valorosa,
Così disfece il tenebroso incanto,
Onde la fata vien sì desdignosa
Che mai potesse alcun darsi tal vanto;
E fie’ questa opra sì meravigliosa,
Che, ricercando il mondo tutto quanto,
Non serà cavallier di tanto ardire,
Qual non convenga a quel ponte perire.
Ella si pensa che quel campïone
Che suonò il corno, quindi abbia a passare,
O ver che per ardir, come è ragione,
Venga questa aventura a ritrovare;
Così l’averà morto, o ver pregione,
Chè omo del mondo non potria durare.
Per far perir quel cavallier Morgana
Fatto ha quel lago, il ponte e la fiumana.
E ricercando tutte le contrate
De uno om crudel, malvaggio e traditore,
Trovò Arridano senza pïetate
Che già la terra non avea peggiore,
E ben guarnito l’ha de arme affatate
Et una maraviglia ancor maggiore,2
Che qualunche baron sieco s’affronta,
Sei tanta forza a lui vien sempre agionta.
- ↑ P. cavalier v’andava.
- ↑ P. E d’una.