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[St. 27-30] libro ii. canto vii 123

         Era costui feroce oltra a misura,
     Ma legier di cervel come una paglia;
     O ver guarnito, o senza l’armatura,
     Battendo gli occhi intrava alla battaglia;
     Nè della vita nè de onor si cura,
     Chè sua ballestra non avea serraglia,
     Dico, perchè scoccava al primo tratto:
     A dire in summa, el fu gagliardo e matto.1

         Or questi duo la gente saracina,
     Dico Arcimbaldo insieme e Rigonzone,
     Cacciano in rotta con molta roina.
     Del re di Sarza in terra è ’l confalone,2
     Ch’era vermiglio, e dentro una regina,
     Quale avea posto il freno ad un leone:
     Questa era Doralice de Granata,
     Da Rodamonte più che il core amata.

         Però ritratta nella sua bandiera
     La portava quel re cotanto atroce,
     Sì naturale e proprio come ella era,
     Che altro non li manca che la voce.
     E lei mirando, alla battaglia fiera
     Più ritornava ardito e più feroce,
     Chè per tal guardo sua virtù fioriva,
     Come l’avesse avante a gli occhi viva.

         Quando la vidde alla terra caduta,
     Mai fu nella sua vita più dolente;
     La fiera faccia di color si muta,
     Or bianca ne vien tutta, or foco ardente.
     Se Dio per sua pietate non ce aiuta,
     Perduto è Desiderio e la sua gente,3
     Perchè il Pagano ha furia sì diversa,
     Che nostra gente fia sconfitta e persa.

  1. T. il.
  2. T. omm. è
  3. P. Nè par che altro le manchi.