[St. 19-22] |
libro ii. canto vii |
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Cresce la zuffa e il crido se rinova,1
E levasi il rumore e ’l gran polvino.
Primeramente Avorio il pagan trova,
E ben rompe sua lancia il paladino;
Ma Rodamonte sta fermo alla prova,
E non se piega il forte saracino;
E similmente nel colpir de Ottone
Stette in duo piedi saldo al parangone.
L’un dopo l’altro Avino e Belengero
A lui feriano adosso arditamente,
E scontrò Naimo ancora, il buon guerriero;
Ma, come gli altri, pur fece nïente.
Al quinto colpo quel saracin fiero
Alciò la faccia a guisa de serpente;
Crollando il capo disse: Via, canaglia!
Chè tutti non valeti un fil di paglia.
Nè più parole; ma del brando mena,
E gionse nella testa al franco Ottone.
Come a Dio piacque e sua Matre serena,
Voltosse il brando e colse de piattone,
E fo quel colpo di cotanta pena,
Che tramortito lo trasse d’arzone;
Nè sopra a questo il Saracin se arresta,
Ma dà tra gli altri e mena gran tempesta.
E misse a terra duo de quei gagliardi,
Avorio e Belengier, feriti a morte;2
E gli altri tutti, e nobili e codardi,
Seriano occisi da quel pagan forte,
Se Desiderio e’ suoi franchi Lombardi
Non avesser turbata quella sorte,
Perchè a quel tempo con sua gente scorta
La ria canaglia avea sconfitta e morta;
- ↑ P. omm. e.
- ↑ T. e P. omm. e; T ferite.