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orlando innamorato |
[St. 43-46] |
In quel tempo Arcimbaldo era tornato,
Per condur sopra al litto e’ cavallieri,
E giù callava in ordine avisato,
Come colui che sa questi mestieri.
Ogni penone al vento è dispiegato,
Di qua di là se alciarno e’ cridi fieri;
Il conte di Cremona avanti passa,
Ver Rodamonte la sua lancia abassa.
Fermo in due piedi aspetta lo Africante;
Arcimbaldo lo giunse a mezo il scudo,
E non lo mosse ove tenia le piante,
Benchè fu il colpo smisurato e crudo;
Ma il Saracin, che ha forza de gigante,
E teneva a due mane il brando nudo,
Ferisce lui d’un colpo sì diverso,
Che tagliò tutto il scudo per traverso.
Nè ancor per questo il brando se arrestava,
Benchè abbia quel gran scudo dissipato,
Ma piastra e maglia alla terra menava,
E fecegli gran piaga nel costato.
Certo Arcimbaldo alla terra n’andava,
Se non che da sua gente fu aiutato,
E fu portato a Monico alla rocca,
Come se dice, con la morte in bocca.
Tutti quei paesani e ogni pedone
Fôr da’ barbari occisi in su l’arena,
Che eran sei miglia e seicento persone:
Non ne campâr quarantacinque apena.1
Li cavallier fuggîr tutti al girone:
Non dimandar s’ogniom le gambe mena;
Ma, se quei saracini avean destrieri,
Perian con gli altri insieme e’ cavallieri.
- ↑ T. e Ml. quaranta e cinque.