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[St. 7-10] libro ii. canto vi 101

         Rispose a lui Scombrano: Alto segnore,
     Alla partita abbiam contrario vento;
     Il mare è grosso e vien sempre maggiore.
     Ma io prendo de altri segni più spavento,
     Chè il sol callando perse il suo vigore,1
     E dentro a i novaloni ha il lume spento;
     Or si fa rossa or pallida la luna,
     Che senza dubbio è segno di fortuna.

         La fulicetta, che nel mar non resta,
     Ma sopra al sciutto gioca ne l’arena,
     E le gavine che ho sopra alla testa,
     E quello alto aeron che io vedo apena,
     Mi dànno annunzio certo di tempesta;
     Ma più il delfin, che tanto se dimena,
     Di qua di là saltando in ogni lato,
     Dice che il mare al fondo è conturbato.

         E noi se partiremo al celo oscuro,
     Poi che ti piace; et io ben vedo aperto
     Che siamo morti, e de ciò te assicuro;
     E tanto di questa arte io sono esperto,
     Che alla mia fede te prometto e giuro,
     Quando proprio Macon mi fèsse certo
     Ch’io non restassi in cotal modo morto,
     — Va tu, direbbi, ch’io mi resto in porto.

         Diceva Rodamonte: O morto o vivo,
     Ad ogni modo io voglio oltra passare,
     E se con questo spirto in Franza arivo,
     Tutta in tre giorni la voglio pigliare;
     E se io vi giongo ancor di vita privo,
     Io credo per tal modo spaventare,
     Morto come io serò, tutta la gente,
     Che fuggiranno, et io serò vincente.

  1. T. e Mr. prese.