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82 orlando innamorato [St. 63-66]

        Lasciam costoro, e torniamo a Ranaldo,
     Che nella mente tutto se rodia;
     Tanto è di scoter Ricciardetto caldo,
     Che se dispera e non trova la via.
     Quel gran gigante sta lì fermo e saldo,
     E un gran baston di ferro in man tenìa;
     Armato è tutto da capo alle piante,1
     E per destriero ha sotto uno elefante.

        Or non gli vale il furïoso assalto,
     Non vale a quel barone esser gagliardo,
     Però che non puotea gionger tanto alto.
     Subitamente smonta di Baiardo,
     E nella croppa se gitta d’un salto
     A quel gigante, che non gli ha riguardo;
     L’elmo gli spezza e d’acciaro una scoffia,
     Nè pone indugia che ’l colpo ridoppia.2

        Par che si batta un ferro alla fucina;
     Quella gran testa in due parte disserra.
     Cadde ’l gigante con tanta roina,
     Che a sè d’intorno fie’ tremar le terra.
     Or ne fuggie la gente saracina,
     Che è dinanzi a Ranaldo in quella guerra,
     Come la lepre fugge avanti al pardo:
     Stretti gli caccia quel baron gagliardo.

        Aveva Feraguto tuttavia
     Più che quattro ore cacciato l’Alfrera;3
     Ardea ne gli occhi pien de bizaria,
     Perchè non trova modo, nè maniera
     Per la quale Isolier riscosso sia.
     Quella ziraffa, contraffatta fera,
     Via ne ’l porta correndo di trapasso;4
     E giunse al pavaglion, nanti a Gradasso.

  1. MI. e Mr. dal.
  2. P. Nè indugia a riddoppiare e d’ira soffia.
  3. MI., Mr. e P. de.
  4. T., MI, e Mr. ne la porta correndo il trapasso.