[St. 23-26] |
libro i. canto iii |
51 |
Da morte il campò l’elmo acciarino.1
Or se comincia una gran ciuffa in piaccia,
Perchè Gaino, Macario ed Ugolino
Adosso a Astolfo con l’arme se caccia.
Ma il duca Naimo, Ricardo e Turpino
Di darli aiuto ciascun se procaccia;
Di qua, di là se ingrossa più la gente.
Gionse il re Carlo a questo inconveniente,
Dando gran bastonate a questo e quello,2
Che a più di trenta ne ruppe la testa.
Chi fu quel traditor, chi fu il ribello,
Che avuto ha ardir a sturbar la mia festa?
Volta il corsiero in mezzo a quel trapello,3
Nè di menar per questo il baston (?) resta.
Ciascun fa largo a l’alto imperatore,
O li fuggie davanti, o fagli onore.
Dicea lui a Gano: Ahimè! che cosa è questa?4
Dicea ad Astolfo: Or diessi così fare?
Ma quel Grifon che avea rotta la testa,
Se andò davanti a Carlo a ingienocchiare,
E con voce angosciosa, alta e molesta,
Iustizia! forte comincia a cridare.
Iustizia, segnor mio, magno e preziato,
Ch’io sono in tua presenzia assassinato.
Sappi, segnor, da tutta questa gente,
Ch’io te ne prego, come il fatto è andato;
E, stu ritrovi che primeramente5
Fosse lo Anglese da mi molestato,
Chiamomi il torto, e stommi pacïente:
Su questa piazza voglio esser squartato.
Ma se il contrario sua ragione agreva,
Fa che ritorni il male onde se leva.
- ↑ P. Da la. T. acciarrino.
- ↑ Mr. a q. a quello; P. a q. e a q.
- ↑ P. drapello; T., MI., Mr. e P. baron.
- ↑ MI. Dicea lui Gano; P. Diceva lui a Gan: che cosa.
- ↑ MI. e Mr. ritrove.