[St. 63-66] |
libro i. canto ii |
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Se quel pagano in prima era superbo,
Or non se può sè stesso supportare,
Cridando a ciascadun con atto acerbo:
O paladini, o gente da trincare,
Via alla taverna, gente senza nerbo!
Io de altro che di coppa scio giuocare.
Gagliarda è questa Tavola Ritonda,
Quando minaccia e non vi è chi risponda!
Quando il re Carlo intende tanto oltraggio,
E di sua corte così fatto scorno,
Turbato nella vista e nel coraggio,
Con gli occhi accesi se guardava intorno.
Ove son quei che me dièn fare omaggio,
Che m’hanno abandonato in questo giorno?
Ov’è Gan da Pontieri? Ove è Rainaldo?1
Ove ene Orlando, traditor bastardo?
2
Figliol de una puttana, rinegato!
Che, stu ritorni a me, poss’io morire,
Se con le proprie man non t’ho impiccato!
Questo e molt’altro il re Carlo ebbe a dire.
Astolfo, che di dietro l’ha ascoltato,
Occultamente se ebbe a dispartire,3
E torna a casa, e sì presto si spaccia,
Che in un momento gionse armato in piaccia.
Nè già se crede quel franco barone
Aver victoria contra del pagano,
Ma sol con pura e bona intenzïone
Di far il suo dover per Carlo Mano.
Stava molto atto sopra dello arcione,
E somigliava a cavallier soprano;
Ma color tutti che l’han cognosciuto,
Diceano: Oh Dio! deh mandaci altro aiuto!
- ↑ T. ommette in.
- ↑ P. ribaldo?
- ↑ Mr. di dentro.