[St. 39-42] |
libro i. canto xxviii |
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Io vincerò la sua discortesia;
Ancor se placherà, se ben fia tardo,
Faràgli ancor pietà la pena mia,
E ’l fuoco smisurato ove io dentro ardo.
Poi che seguir conviensi questa via,
Io vo’ mandarli adesso il suo Baiardo,
Chè, come intendo e per ciascun se nara,
Cosa del mondo a lui non è più cara.
Orlando più non tornarà giamai,
Chè non giovarà forza nè sapere,
Allo estremo periglio ove il mandai:
Far posso del destriero il mio parere.
Ahi re del cel! come forte fallai,
A far perir colui che ha tal potere!
Ma Dio lo sa ch’io non puote’ soffrire
Quel che tanto amo vederlo morire.1
Ora fia morto il bon conte di Brava,2
Sol per campar la vita al fio d’Amone;
Quel molto più che sua vita me amava,
Questo non ha di me compassïone;
E certo conscïenza assai me grava,
E vedo ch’io fo pur contra ragione:
Ma la colpa è d’Amor, che senza legge
E’ soi subietti a suo modo corregge.
Così dicendo chiede una donzella,
Che fu con lei creata piccolina,
Di aria gentile e di dolce favella;3
Alla sua dama davanti se inchina.
Disse Angelica a lei: Va, monta in sella,
Calla nel campo di quella regina,
Qual per suo orgoglio, contra ogni ragione,
Sta nello assedio di questo girone.
- ↑ T. puoti.
- ↑ P. il gran.
- ↑ Mr. e dolce.