[St. 31-34] |
libro i. canto xxviii |
487 |
Perchè alla guarda del falso giardino
Dimora un gran dragone in su la porta,
Qual ha deserto intorno a quel confino
Tutta la gente del paese, e morta;
Nè passa per quel regno peregino,
Nè dama o cavalliero alla sua scorta,
Che non sian presi per quelle contrate,
E dati al drago con gran crudeltate.
Onde te prego, se me porti amore,
Come ho veduto per experïenza,
Che questa doglia me levi del core,
De la qual più non posso aver soffrenza;
E scio ben che cotanto è il tuo valore
E ’l grande ardire e l’alta tua potenza,
Che, abenchè il fatto sia pericoloso,
Pur nella fin serai vittorïoso.
Orlando alla donzella presto inchina,
Nè se fece pregar più per nïente,
E con tanto furor ratto camina,
Che uscito è già di vista a quella gente.
Or, menando fraccasso e gran roina,
Il fio d’Amon turbato se risente;
Strenge a due mano il furïoso brando,
Credendo vendicarse al conte Orlando.
Ma quello è già lontan più de una lega:1
Ranaldo se ’l destina di seguire,
Chè mai non vôl con lui pace nè trega,
Sin che l’un l’altro non farà morire.
Marfisa, Astolfo e ciascuno altro il prega,
E tanto ogniom di lor seppe ben dire,
Che Ranaldo, che avea la mente accesa,
Pur fu acquetato e lasciò quella impresa.