[St. 7-10] |
libro i. canto xxviii |
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So che robbasti il tesoro indïano,
Che a me toccava per dritta ragione,
Perchè il re de India, Durastante, al piano
Fu da me morto, e non da te, ladrone.
Sotto la tregua del re Carlo Mano
Robbasti al re Marsilio il suo Macone.
Ora te penti, e fa che ben m’intenda:
Oggi di tanto mal farai l’amenda.1
Ranaldo fece al conte aspra risposta,
Forte suonando il suo corno bondino,
Dicendo dopo il suon: Vieni a tua posta,
Chè or sei vassallo, et eri paladino,2
E poi che la tua mente è pur disposta
Far la vendetta d’ogni Saracino,
Di qualunque sia morto in ogni lato,
Preso o disfatto, o sia da me robbato.
Ma a te ramento che aggio a vendicare
La morte iniqua d’ogni cristïano.
Don Chiaro il paladin vo’ ricordare,
Che l’occidesti in campo di tua mano;
Perciò se ebbe Girardo a disperare,
E per tua colpa divenne pagano.
Ascolta, renegato e maledetto:
Chi dà cagione al mal, lui n’ha il diffetto.
Il padre de Olivier, malvaggio cane,
Venne per tua cagion da Carlo occiso;
Ranaldo di Bilanda per tue mane3
Avanti al vecchio patre fo diviso.
E tu quando ti levi la dimane,
Credi acquistar zanzando il paradiso
Con croce e patrinostri? Altro ci vole
Che per rei fatti dar bone parole.
- ↑ Ml. e Mr. lamenda; P. l’ammenda.
- ↑ Ml. vuaro; T. e Mr. nuaro.
- ↑ P. R. di Belanda ancor rimare.