[St. 31-34] |
libro i. canto xxvii |
471 |
Diceva Orlando: — Pôi ringrazïare
Il giorno che è partito, e il vivo sole,
Che alquanto t’ha la morte a indugïare,
E certamente me ne incresce e dole.
Dice Ranaldo: Ciò lasciamo andare:1
Io vo’ che meco vinci di parole;2
Ma già di fatto vantaggio non hai,
Nè creder, fin ch’io viva, averlo mai.
E fino ad ora io sono apparecchiato
(Per mostrar ch’io non ho di te paura)
Di trare al fin lo assalto cominciato,
Ch’io non te stimo, o giorno, o notte oscura.
Rispose il conte: Ladro, scelerato,
Che pur convien mostrar la tua natura:
Come sei uso, tristo, doloroso,
Far guerra al scuro, nel bosco nascoso.3
Io vo’ teco azzuffarme al giorno chiaro,
Perchè tu vedi il tuo dolor palese,
E che prender non possi alcun riparo,
Nè fuggirti da me, nè far diffese.
Disse Ranaldo: Adunque e’ m’è ben caro
Esser tanto lontano al mio paese,
Per non dar quel dolore al duca Amone,4
Poi che morir convengo a ogni rasone.
Io scio combatter nel bosco nascoso,
E nel monte alto e all’aperta pianura,5
E fo battaglia al giorno luminoso,
Matina e sera e ne la notte scura.
Or tu sei solo al mondo glorïoso,
Et hai de l’onor tuo cotanta cura,
Che non combatti se no’ al sole altiero,
Credendo altrui smarir col tuo quartiero.
- ↑ T. e Ml. Disse.
- ↑ T. e Ml. vinchi.
- ↑ P. e nel.
- ↑ P. tanto duol al.
- ↑ T., Ml. e Mr. e a la parte (T. è corr. di mano posteriore); P. Nel monte ad alto et anco.