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orlando innamorato |
[St. 27-30] |
Ma non se avide alor de la ferita,
Tanto era riscaldato alla battaglia;
Ferisce al conte quella anima ardita,
De cima al fondo il scudo gli sbaraglia.
Ogni piastra de usbergo ebbe partita,
E tutto il panciron fraccassa e smaglia;
E se non fusse che il conte è fatato,
Gran piaga gli avria fatto nel costato.
S’io conto tutti i colpi ad uno ad uno,
Che facean sempre foco e le faville,
Verrà la sera e il cel si farà bruno,
Perchè furon i colpi più di mille;1
Sì ch’io nol dico, e può pensar ciascuno
Che non Ettor di Troia e non Achille,
Nè Ercole il grande, nè il forte Sansone2
Potrian con questi star al parangone.
E qual misèr Tristano e qual Gallasso,
Qual altro cavallier de la ventura,
D’un tanto travagliar non serìa lasso,
Per l’estrema battaglia orrenda e dura?
Chè sempre combattero a gran fraccasso3
Da sol nascente insino a notte oscura,
Nè mai chiesen riposo a quel furore,
Chè l’un de l’altro crede esser megliore.
Et era il ciel de stelle tutto pieno
Prima che alcun parlasse del partire,
Però che aveano al cor tanto veleno,
Che se credean l’un l’altro far morire.4
Poi che la luce venne al tutto meno,
Restarno, per vergogna, di ferire,
Perchè in quel tempo combattere al scuro
Opra non era di baron sicuro.
- ↑ T., Ml. e Mr. fuoro giornate de.
- ↑ Ml. e Mr. Hercule.
- ↑ P. combatterno.
- ↑ P. credea.