[St. 23-26] |
libro i. canto xxvii |
469 |
Ferì con ira Orlando ad ambe mano,
Sopra Ranaldo gran colpo martella;1
Poco mancò che non andasse al piano
E stramortito uscisse de la sella.
Come rivenne il sir de Montealbano,
Non se accese mai lampa, nè facella,
Che non sembrasse del suo lume priva,
Tant’ha di foco lui la faccia viva.
Ad Orlando ferì con gran furore
Sopra di l’elmo, a forza sì diversa,
Che ’l paladin, che avea tanto vigore,
Ha il sentimento e la memoria persa;
E per la passïone e gran dolore
Sopra le croppe tutto si riversa;
E for de l’arcion tanto se disserra,
Che ogniom credette che l’andasse a terra.
E non fu più giamai leon ferito,
Nè drago acceso tanto velenoso
Come divenne Orlando risentito;
E ben mostrava in viso furïoso,2
Chè non era a quel colpo sbigotito,
Ma più fier divenuto et animoso;
Verso Ranaldo lasciò un colpo crudo,
E più del terzo gli tagliò del scudo.
Rotto a traverso il scudo andò nel prato,
Nè in questo resta la tagliente spada,
Ma la maglia gli strazia dal costato,
E convien che ogni piastra a terra vada.
La zuppa e il camison tutto è straziato,
Par che ogni cosa Durindana rada,
Sì spezza usbergo et ogni guarnisone;
E feritte nel fianco il fio de Amone.
- ↑ P. Ranaldo, e.
- ↑ Ml. in vista; Mr. in viso; P. il viso.