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[St. 59-62] libro i. canto xxvi 461

         — Ben ne son certo, disse il sir d’Anglante
     Che te rincresce di tal guerra assai,
     Chè non avrai a far con mercadante,
     Nè un pover forastier dispogliarai.
     Or non usiamo parole cotante:
     Mostra pur tuo valor, se ponto n’hai;
     Perchè io te acerto e sazote ben dire
     Che a te bisogna vincere o morire.

         Dicea Ranaldo a lui: Guerra non aggio,
     Nè voglio aver con teco, il mio cugino;
     Perdon ti cheggio, s’io t’ho fatto oltraggio,
     Ben ch’io nol feci mai, per Dio divino!
     E se onta ti repùti o ver dannaggio
     Ch’io abbia preso e morto Trufaldino,
     A ciascun tuo piacer farò palese
     Che non te ritrovasti in sue diffese.

         Rispose il conte ad esso: Animo vile,1
     Che ben de chi sei nato hai dimostranza,
     Mai non fusti figliol d’Amon gentile,2
     Ma del falso Genamo di Maganza.
     Pur mo te dimostravi sì virile
     E ragionavi con tanta arroganza:
     Or che condutto al paragon ti vedi,
     Mercè piangendo e perdonanza chiedi.

         Perse la pazïenza a quel parlare
     Il fio de Amone, e con terribil guardo
     Verso de Orlando gli occhi ebbe a voltare,
     Et a lui disse: Tanto sei gagliardo,
     Che ogni om ti teme e convienti onorare;
     Ma se tu non mi rendi il mio Baiardo,
     Presto potrai veder, come io ti dico,
     Ch’io non ti temo e non te stimo un fico.

  1. T. Ml. e Mr. Adesso.
  2. T. e Mr. Ma non.