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[St. 11-14] libro i. canto xxvi 449

         Così dicendo gli donava un scudo,
     Che ’l campo è d’oro e l’armelino è bianco,
     E un bel cimier, che è un fanciulletto nudo
     Con l’arco e l’ale, e le saette al fianco.
     Quel conte, che pur mo fu tanto crudo,
     Mirando la donzella venìa manco,
     E tanta zoia sentì e tal disire,1
     Che d’allegrezza si sente morire.

         In questo ragionar gionse Grifone
     Per gire alla battaglia tutto armato;
     Et Aquilante è seco e Chiarïone,
     Il re Adrïano [h]a l’elmo incoronato.2
     Venir non puote Oberto dal Leone,
     Perchè la piaga il viso avea gonfiato,
     E per non la curare e farne stima
     Più noia n’ebbe ne la fin che prima.3

         Or lui restava, e venne Trufaldino,
     Per cui far si dicea la gran battaglia.
     Smarito era nel volto il malandrino,
     Ma non sa ritrovar scusa che vaglia,
     Chè pur gli convien fare il mal camino
     Là giù nel piano, alla aperta prataglia;
     E pensando di sè l’oltraggio e il torto,
     Parea nel volto sfigurato e morto.4

         Lasciàn costor, che del forte girone
     Aprian la porta, e il ponte fan callare;
     E ritornamo a Ranaldo de Amone,
     Qual cognosciuto ha Orlando a quel suonare;
     E, benchè egli abbia il dritto e la ragione,
     Già non voria con lui battaglia fare,
     Perchè lo amava di coraggio fino,
     Come germano e suo carnal cugino.5

  1. P. sente.
  2. P. E il re A. a l’elmo.
  3. Ml., Mr. e P. noglia.
  4. T., Mr., e P. morto.
  5. T., Ml. e Mr. germano e (el?) suo.