[St. 43-46] |
libro i. canto xxv |
441 |
Una dama feroce, arabïata,
Qual venne col mio patre in mia diffesa,
Senza cagione alcuna è ribellata,
Di mal talento e di furore accesa;
Come vedi, m’ha quivi assedïata,
E, se tu non me aiuti, io serò presa
Da la crudel, che tanto odio mi porta,
Che con tormento e strazio serò morta.
Così disse la dama, e lacrimando
Il viso al cavallier tutto bagnava.
Apena se ritenne il conte Orlando
Che alor alora tutto se armava;
E rispondea nïente, e fulminando
Gli occhi abragiati d’intorno voltava.
Poi che la furia fu passata un poco,
Il volto a lei rivolse, e parea foco.
Nè già puote la dama sofferire
Di riguardare alla terribil faccia.
Dissegli il conte: Dama, a te servire
Mi reputo dal cel a tanta graccia;1
E quella dama che me avesti a dire,
Fia da me morta, o presa, o messa a caccia;2
E quando fosse il mondo tutto quanto
Con seco armato, ancor de ciò me vanto.
Rimase assai contenta la donzella
Veggendo il proferir di quel barone,
Chè ben sapea quel che lui vale in sella.3
Frutti e confetti di molta ragione
Furno portati a quella zambra bella;
Gionsero in questa Aquilante e Grifone,
E ciascun con Orlando s’è abracciato;4
Angelica di poi tolse combiato.
- ↑ T. e Mr. viel la; P. cielo tanta.
- ↑ Ml., Mr. e P. in caccia.
- ↑ P. sapeva quel che ’l vale.
- ↑ T. o Ml. fo ab.