[St. 3-6] |
libro i. canto xxv |
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Tanta fatica adunque e tanto stento
Aver durato me incresce per certo;
Ma tardo ormai et indarno mi pento,
Ch’indarno un tanto affanno aggio sofferto.
È questo ciò che me die’ far contento?
È questo il guidardone? È questo il merto,
Qual promise la dama in abandono,
Che doveva apparire al terzo suono?
Così dicendo ratto si voltava
Per girne altrove, tutto disdegnoso;
Il conte il libro per terra giettava1
E via fugiva a corso roïnoso.
Ma la donzella a gran voce il chiamava:
Aspetta, aspetta, baron valoroso!
Chè non è al mondo re, nè imperatore,
Che abbia ventura di questa maggiore.
Ascolta adunque il mio parlar, che spiana
Di questa cucciarella il bel lavoro.
Una isoletta non molto lontana
Ha il nome et ha lo effetto del tesoro;
Ivi è una fata, nomata Morgana,
Che alle gente diverse dona l’oro;
Quanto per tutto il mondo or se ne spande,
Convien che ad essa prima se dimande.
Lei sotto terra il manda a l’alti monti,2
Dove se cava poi con gran fatica;
E ne’ fiumi l’asconde e dentro a’ fonti,
E in India, dove il coglie la formica.
Abada e guarda ben che sian disgionti,
Che ciascaduno un pesce ne nutrica;3
E vo’ che sappi il nome per ragione:
Timavo è l’uno, e l’altro è il carpïone.
- ↑ T. e Ml. Il corno.
- ↑ Mr. a laltri.
- ↑ Mr. un pezo.