426 |
orlando innamorato |
[St. 43-46] |
Stavasi queto il figlio di Melone,
Per veder ciò che al fine avesse a uscire.
Ecco fuor di quel monte esce un dragone,
Terribil tanto, ch’io nol posso dire.
La dama, che sapea la fatasone,
Tenne quell’altra, che volea fuggire,
Dicendo: Sopra me sta’ti sicura,
Chè solo al cavallier tocca paura.
Questa facenda a noi non apartiene,
Ma quel barone al tutto fia deserto.
Rispose l’altra: Ben se gli conviene,
Chè un più malvaggio al mondo non è certo.
Adunque ciascadun m’intenda bene,
Perchè il caso de Orlando mostra aperto
Che ogni servigio di dama si perde
Chi non adacqua il suo fioretto verde.
Or torno a ragionar di quel serpente
Che un altro non fu mai visto maggiore.
Di scaglie verde e d’oro era lucente,
L’ale ha depinte in diverso colore.1
Tre lingue avea et acuto ogni dente,
Battea la coda con molto rumore,
Sempre giettava foco e fiamma viva,
Che da l’orecchie e di bocca li usciva.
Come il serpente in tutto si scoperse,
Il conte, che teniva il libro in mano,
Gli vide scritto ove prima lo aperse:
Nel mondo tutto, per monte e per piano,
Tanta fatica mai altrui sofferse
Come tu soffrirai, baron soprano;
Ma forse ancora potresti campare,
Se quel ch’io dico, te amenti di fare.